Marco Ripa incontra l'opera di Innocenzo Prezzavento
Il designer e artigiano di Porto San Giorgio ambienta lo shooting delle sue nuove collezioni in due ville di Prezzavento e produce per la MDW un tavolo inedito del 1971. Il racconto e l'intervista

Ascoltare, attraversare, abitare con lo sguardo il territorio. È quello che fa l’artigiano e designer Marco Ripa con Scatti di Marca, progetto fotografico che intreccia design, arredo e paesaggio costruito, raccontando architetture rilevanti e poco conosciute delle Marche attraverso oggetti e visioni contemporanee. Dopo una prima tappa a Ca’ Romanino nel 2024, residenza progettata da Giancarlo De Carlo a Urbino nel 1968, il viaggio prosegue nell’entroterra ascolano, dove l’incontro con l’opera dell’architetto Innocenzo Prezzavento, sfortunatamente poco conosciuta e ricordata (la racconterò in una prossima newsletter), accende una nuova narrazione. Un piccolo faro sull’attitudine, condivisa dai due marchigiani, di modellare la materia con precisione, rispetto e poesia. Che sia ferro o sia cemento, insomma, è su questo terreno comune che si incrociano il lavoro di Ripa, artigiano del metallo, e l’architettura di Prezzavento che, scrive l’arch. Luca Di Lorenzo Latini in Mappe °15. Luoghi percorsi progetti nelle Marche,
È un’architettura in cui i confini tra natura e artificio, tra passato e futuro, sbiadiscono in uno spazio indefinito e liquido il cui massimo comun denominatore è il cemento, malleabile e fedele compagno di viaggio. Lontano del gusto brutalista ‘a priori’ e della ricerca formale fine a sé stessa, per Prezzavento il cemento è solo un mezzo: un sostegno utile e altamente manipolabile. Grigio, grezzo e consunto, è trattato senza pudicizia e senza timori reverenziali, lasciandolo in balìa del tempo, dell’acqua e della vegetazione.
Nasce così un progetto a più livelli: un racconto per immagini, un dialogo tra epoche e poetiche, una produzione inedita che collega due sguardi affini sul paesaggio e sulla materia.


La Villa Di Giambattista, denominata la “Casa nella collina” e realizzata ad Acquasanta Terme (AP) nella prima metà degli anni Settanta, e Villa Fioretti, chiamata anche la “Casa sulla collina” e risalente al 1978, incarnano la poetica di Innocenzo Prezzavento e sono le architetture scelte da Marco Ripa per il servizio fotografico dedicato alle sue ultime collezioni India (tavoli per interni ed esterni in alluminio parzialmente riciclato e interamente riciclabile, design Atelier Ferraro), Coimbra e Chiodo.
«Caro Arch. Prezzavento, ho esaminato con attenzione le sue opere e le esprimo le mie più vive congratulazioni.
Quando incontro un architetto autentico, per me è una gioia».
Da una lettera di Bruno Zevi del 1997
La prima villa sembra crescere direttamente dalla terra, trasformando il pendio in cui è inserita in una sequenza di vassoi in cemento armato e aperture vetrate. «La strada del borgo, la improvvisa scarpata, il breve pianoro sovrastante, il fianco cespuglioso della collina, il ripido sentiero ai pascoli alti, alla caccia e ai tartufi; il luogo stesso si è fatto casa e forse architettura», così la descriveva Innocenzo Prezzavento sui suoi taccuini mentre “scolpiva” il paesaggio fino a renderlo “casa”. Le curve di livello vengono assorbite dall’abitazione e si trasformano in terrazzi sovrapposti, la ripida mulattiera diventa una scalinata, la pozza d’acqua - un tempo l’abbeveratoio del pascolo - si fa piscina. I materiali da costruzione sono quelli del luogo: terra, rocce, acqua, alberi, cespugli, prati. Unici elementi artificiali sono il vetro e il cemento armato, impiegato per la struttura. Anche i colori rimandano alla materia stessa: il grigio delle rocce, il verde dei cespugli e dei prati, il giallo della sabbia, il verde chiaro dell’acqua. La villa si sviluppa su quattro piani: dal basso verso l’alto si trovano la zona giorno, la zona notte e quella per gli ospiti. Nel basamento si collocano garage e scuderie.









La seconda abitazione - la “Casa sulla collina” - diluisce ancora di più il gesto architettonico: due solai ridisegnano la cima del colle, mentre giardini pensili e volumi sospesi, sovrapposti senza gerarchie nella composizione, dissolvono il confine tra architettura e paesaggio. La villa, scrive Prezzavento, «è costruita con la terra e la vegetazione, il cemento funge solo da supporto strutturale; le ultime curve di livello della sommità della collina sono state modellate ad abitazione: l’edificio, senza dimensione, è sfumato nel territorio e non c’è alcun confine definibile tra artificiale e naturale». Anche la distribuzione degli spazi risulta atipica: funziona per piano, ma ognuna delle bolle cilindriche di cui si compone l’architettura è autonoma e corrisponde alle diverse camere. Al piano terra, prendono posto la sala da pranzo con due cucine, tre camere da letto, i locali di servizio e il garage. La sala da pranzo e le due camere principali sono trattati come elementi autonomi che dialogano direttamente con il piano soprastante attraverso tre scale a chiocciola indipendenti che portano rispettivamente al soggiorno, allo spazio studio-gioco e all’uscita diretta sul verde. Tra spazio interno e vista esterna vi è solo un nastro vetrato che corre lungo tutto il profilo fluido dell’edificio, schermato all’occorrenza da pannelli mobili, per creare, su richiesta della committenza, un luogo che fosse «letteralmente senza pareti per i momenti dell’ottimismo, del sole e della festa, e una casa bunker per i momenti di timorosa solitudine», spiega ancora il progettista.
Il cemento di Prezzavento, modellato con sensibilità paesaggistica addomesticando le curve di livello, lavorando per sottrazione fino a dissolvere il confine tra artificio e natura, trova una controparte nel metallo di Ripa, che viene piegato, sagomato, levigato in profili sinuosi fino a perdere ogni traccia di fatica manuale. Materiali ed esiti progettuali rivelano un’idea di forma sospesa tra rigore e leggerezza, tra struttura e immaginazione.
Nelle immagini di Matteo Bianchessi, gli spazi non fanno da sfondo: sono presenze attive, che sembrano attendere gli oggetti per completarsi a vicenda.









Un ingegnoso sistema di tavoli
La collaborazione tra Ripa e Prezzavento va oltre la fotografia. L’intesa tra i due, e il desiderio dell’architetto, oggi ottantaseienne, di veder realizzato un proprio oggetto industriale - il primo -, dà origine a Triangolo, un sistema modulare di tavoli che era stato disegnato nel 1971 proprio per la “Casa nella collina”. Riemerge dall’archivio del progettista, curato da Luca Di Lorenzo Latini, che curiosamente non conserva traccia delle opere completate ma solo dei progetti ancora da realizzare. Ripa e Prezzavento decidono così di produrre in serie Triangolo, dando finalmente forma a un’idea rimasta sulla carta per oltre cinquant’anni. Verrà presentato in occasione della ormai prossima Milano Design Week (Convey, 7–13 aprile 2025).

Triangolo è una collezione in divenire e rivela oggi una sorprendente attualità: si compone, si scompone, entra in relazione con l’ambiente, reinventando spazi e funzioni. Alla base c’è un modulo triangolare che può essere aggregato per creare configurazioni potenzialmente infinite: regolari, come rombi ed esagoni, o più libere e spontanee. Può diventare tavolino singolo o a due posti, ampio tavolo da sei, scrivania, soluzione angolare o parte di una struttura più articolata. E quando serve, sa restare al suo posto senza ingombrare: è infatti anche impilabile. Ma non in modo ordinario: impilato, si trasforma in una scultura domestica che nasconde la sua funzione di tavolo per dissimulare eventuali carenze di spazio. Dietro l’aspetto giocoso Triangolo nasconde in realtà un’identità ingegneristica. Spiega Prezzavento: «Ho cercato con serietà d’individuare la giusta porzione di spazio necessaria al comfort, la giusta misura per l’uomo». L’architetto applica al tavolo lo stesso principio di modularità che, negli anni Settanta, iniziava a essere esplorato nel design degli imbottiti. Obiettivo: accogliere tanto una singola persona quanto un numero potenzialmente illimitato di ospiti, attraverso configurazioni flessibili e personalizzabili, adatte a diverse funzioni e anche ad ambienti ridotti. Dopo una lunga fase di sperimentazione e sviluppo, RIPA ha ingegnerizzato il progetto, sostituendo il legno del prototipo originario con lamiere compatte di alluminio e riducendo gli spessori da due centimetri a soli quattro millimetri. Il risultato è una soluzione leggera, agile e stabile, adatta non solo alla casa, ma anche agli spazi pubblici e al contract, sia indoor che outdoor. In Triangolo, anche il colore diventa strumento compositivo: si possono scegliere moduli della stessa tonalità tra le dieci disponibili, oppure accostare cromie diverse per accentuare i singoli elementi.
Triangolo
Design: Innocenzo Prezzavento, 1971; collaboratori: Luca Di Lorenzo Latini, Sebastiano Carella
Realizzazione e produzione: RIPA, 2025
Misure: triangolo equilatero lato 73 cm, altezza 73 cm
Colori: Carta, Liquirizia, Pesca, Burro, Cielo, Seta, Oceano, Foglia, Argilla, Fuoco
L’intervista a Marco Ripa
RIPA è un marchio contemporaneo specializzato nella realizzazione di oggetti in metallo – sculture d’uso quotidiano, agili e minimali, componibili e versatili – che rispondono alle esigenze dell’abitare contemporaneo, con attenzione all’ambiente: sono parzialmente riciclati e interamente riciclabili. Ogni pezzo nasce dall’unione tra artigianato e sperimentazione, nel segno di un’estetica essenziale, solida e destinata a durare nel tempo, lontana da mode e tendenze. Marco Ripa, fondatore del brand, artigiano e designer, lavora il ferro e l’acciaio fin dall’età di 15 anni, sviluppando un rapporto diretto con la materia e le sue possibilità espressive. Dopo gli studi, apre la sua officina nel 2011 a Porto San Giorgio, nelle Marche, e si dedica a tempo pieno al laboratorio, scegliendo il ferro come materiale di riferimento per la sua resistenza e capacità di trasformarsi nel tempo. I suoi riferimenti spaziano da Alexander Calder, per l’uso delle forme e dell’equilibrio nel metallo, a John Ruskin e al movimento Arts and Crafts, per l’unicità dell’oggetto artigianale. Il suo lavoro evolve in una ricerca continua in laboratorio, dove il metallo – l’alluminio in particolare, negli ultimi anni – diventa linguaggio, e le superfici prendono vita. Agli strumenti e alle lavorazioni tradizionali, RIPA affianca la tecnologia: tutti i prodotti nascono in digitale, tramite software 3D, e vengono poi rifiniti a mano con cura. Le linee sono sempre geometriche, studiate come l’inizio di un gioco di incastri, per composizioni ogni volta diverse e personalizzabili.
M.C.V.: Come nasce il progetto Scatti di Marca?
M.R.: Grazie alla visibilità che il mio lavoro sta acquisendo, ho sentito il desiderio di restituire qualcosa al mio territorio. Scatti di Marca nasce proprio da qui, dalle Marche e dalla voglia di raccontare architetture significative, spesso dimenticate. Il primo episodio è stato quasi un colpo di fortuna: abbiamo scoperto Ca’ Romanino, la casa progettata da Giancarlo De Carlo a Urbino, e ci ha colpiti a tal punto che ci siamo detti: perché non continuare? Cercando altre architetture, ci siamo imbattuti nel Censimento nazionale delle architetture italiane del secondo Novecento. Così è venuta fuori la Villa Di Giambattista di Innocenzo Prezzavento. Quando l’ho vista dal vivo sono rimasto senza parole: è un’opera dirompente. Scatti di Marca è un progetto che vorremmo portare avanti nel tempo, anche se non nascondo le complessità legate alla ricerca e ai contatti. Non ci interessano interni patinati: vogliamo continuare a valorizzare luoghi autentici, che raccontino una storia.
M.C.V.: Com’è nata l’idea di collaborare con Innocenzo Prezzavento per dare vita al progetto Triangolo?
M.R.: Prezzavento ha chiaro un pensiero: l’architettura, se non viene curata, è destinata a svanire. Per questo ha voluto affidarsi al design, inteso come progetto riproducibile, per lasciare un segno più duraturo. Mi ha contattato con alcuni progetti che teneva nel cassetto fin dagli anni Settanta. Quando mi ha mostrato Triangolo, un sistema di tavoli ideato nel 1971, sono rimasto a bocca aperta: ho avuto la sensazione che fosse stato concepito oggi, perfettamente in linea con la mia visione. E invece è nato prima ancora che io nascessi! Lo presenteremo alla Milano Design Week 2025: sarà il primo oggetto di design di Prezzavento mai realizzato e prodotto in serie.
M.C.V.: Cosa rende speciale la collezione India?
M.R.: India nasce dalla collaborazione con Atelier Ferraro. Il progetto esprime i valori della terra da cui prende il nome: l’accoglienza nelle forme morbide, la leggerezza nella particolare lavorazione del metallo, la flessibilità nei quattro modelli progettati a partire da un’unica, originale base. A caratterizzare la serie sono infatti le quattro gambe - in tre diverse configurazioni - la cui forma a un quarto di circonferenza non è solo una scelta estetica che va incontro a un’idea di apertura e accoglienza, cardine del progetto, ma anche tecnica: la curvatura consente infatti di utilizzare uno spessore minimo garantendo al piano la massima stabilità. Così abbiamo ottenuto un oggetto leggero alla vista ma estremamente robusto. Dato che in ferro sarebbe stato ingestibile, abbiamo scelto l’alluminio sia per risolvere il problema del peso, sia perché è un materiale totalmente riciclabile: gli scarti vengono rifusi e riutilizzati.
Con India volevamo andare oltre l’oggetto “di tendenza” - alle ultime design week sono tornate di moda queste lamiere naturali in acciaio - il nostro invece è un design che non segue questo filone e non invecchia: si adatta a contesti e stili molto diversi, dalle architetture anni Settanta agli interni ultracontemporanei. C’è poi anche un aspetto ‘ecologico’ legato al riciclo: le gambe sono intercambiabili e universali per tutta la collezione, se le esigenze cambiano nel tempo, si può sostituire solo il piano, restituendo quello vecchio che viene reinserito nel ciclo produttivo. È un sistema pensato per durare e ridurre la produzione degli scarti di lavorazione, sprechi di materiale e risorse. Questo approccio, che abbraccia un po' la logica del riuso e promuove la trasformazione nel tempo, è molto attuale ma possiamo permettercelo noi artigiani che lavoriamo su piccola scala e controlliamo ogni singolo passaggio.
M.C.V.: Alla Milano Design Week presenterai anche il rebranding del marchio curato da Simple Flair. Cosa ha motivato questa scelta?
M.R.: Il nuovo brand si chiamerà semplicemente RIPA. Sentivo il bisogno di uscire dall’etichetta di “fabbro artista”, che era diventata un po’ cliché. All’inizio degli anni 2010 c’è stato un grande ritorno della figura dell’artigiano, anche in chiave moda: il “fatto a mano” è diventato un trend, anche per i grandi brand. Ma per noi non è una moda: è il nostro modo di lavorare. Nella mia officina ogni pezzo è davvero fatto a mano. Chi lavora con me segue un progetto dall’inizio alla fine, non ci sono linee di montaggio. Questo crea un legame profondo tra l’artigiano e l’oggetto. Io sono convinto che questa cura resti dentro la materia, in qualche modo. Magari è una mia fissazione, ma mi piace credere che un oggetto possa trasmettere l’entusiasmo di chi l’ha realizzato con passione. Con il nuovo nome voglio anche valorizzare la dimensione collettiva del nostro lavoro. Non sono solo io: c’è un team fatto di persone che credono nel progetto, da chi lavora ogni giorno in officina al direttore artistico, dalla social media manager ai grafici, sino all’ufficio stampa. RIPA sarà il contenitore di tutto questo.
marcoripa.it | instagram.com/ripa__design/
RIPA @ Milano Design Week 2025
7–13 aprile 2025
Convey
Via Rosolino Pilo, 14 | Porta Venezia
Press preview: 6 aprile, h 12–17