E all'improvviso, Portoghesi
Come una cattedrale nel deserto, una palazzina di Paolo Portoghesi svetta tra le anonime case popolari della periferia di Sapri (SA)
In Via Cristoforo Colombo a Sapri c’è una palazzina di Paolo Portoghesi
Me lo riferisce Aldo, architetto a Napoli e uomo di grande cultura. Suona per lui come cosa assai nota, ma non è propriamente così. Nessuno della zona sembra saperlo o vagamente ricordarlo. Nessuno, o quasi, poi, ha idea di chi sia Paolo Portoghesi.
In effetti, giusto un architetto potrebbe rammentare un intervento così marginale e avere la capacità di decifrare il bello (o perlomeno un bel tentativo) nei meandri della più anonima edilizia. Anche se, in questo caso, credo che la colpa sia prevalentemente mia, poiché a volte dimentico di aprire gli occhi, di coltivare intuizioni e curiosità, e di esercitare quello che, dopotutto, è il mio mestiere: verificare tesi, scavando sistematicamente nel passato e, solo dopo, raccontarne gli esiti.
Siamo a Sapri, in una zona un po’ defilata, a poca distanza dai binari della ferrovia che delimitano il centro del paese. È un angolo di mondo abbastanza remoto che frequento almeno una volta all’anno, quando, insieme al mio compagno Silvio (nipote di Aldo), vengo a trovare i suoi parenti. Davanti a quella palazzina giallo pallido di Via Cristoforo Colombo sarò passata decine di volte e, tutte quante, l’ho squadrata con aria inquisitiva, mai chiedendomi di chi fosse a dire il vero, ma limitandomi a constatarne la singolarità: il suo essere ‘fuori posto’ dovuto, verosimilmente, alla slanciata altana appollaiata sul tetto (convertitasi nel tempo in alloggio coperto per parabole).
Eppure l’anomalia non sta nella forma di questo elemento o nell’altrettanto pronunciata pensilina d’ingresso (per nulla scandalose), ma nell’effetto contrasto, ossia nel fatto che una casa popolare possa concedersi tali orpelli in un contesto sostanzialmente piatto e povero, privo di ‘protuberanze’ e fronzoli, dove linee abitative, ben più recenti, sembrano perfino ispirarsi alle INA anni ‘50, ereditandone criticità e problemi.
Sebbene gli indizi fossero più che sufficienti a decodificare quest’opera senz’altro minore, a tradirmi è stata l’infertilità del sito in questione: quante probabilità hai di trovare una cattedrale nel deserto, in un deserto in cui - è risaputo - non c’è nulla ma proprio nulla su cui inciampare, figurarsi un Portoghesi? È davvero tutto qui, nella presunzione di conoscere un luogo, per quanto piccolo, nell’egual misura in cui lo si ignora, dandolo per scontato anche nelle sue stratificazioni temporali, in quello che oggi appare diverso da come era ieri … forse meno nobile, meno bello, meno significante, ma pur sempre riconoscibile a uno sguardo attento.


Sfogliando l'elenco delle opere, risulta che tra il 1980 e il 1983 Paolo Portoghesi abbia redatto alcuni progetti per la zona del Vallo di Diano (probabilmente rimasti sulla carta) e realizzato, in parte, delle case per lo IACP della provincia di Salerno a Polla, Sacco, Sala Consilina, Sanza, Vallo della Lucania e Sapri. È dunque vero: la palazzina incriminata è proprio sua. Non che avessi chissà quali dubbi ormai, ma me ne da ulteriore conferma Lucio Valerio Barbera - con tanto di poetica descrizione - nella prefazione al libro Paolo Portoghesi. L'architettura come riflesso dell'anima di Gioia Seminario. Ne segue uno stralcio.
Andando in treno a Maratea passo per Sapri. Dal treno, in un punto che si trova a una quota un pochino più alta, su un terrapieno o forse su un viadottino antico, a un certo punto nella massa di brutte case del luogo - Sapri è un posto bellissimo, rovinato da un'edilizia che è stata sempre brutta, anche ai tempi di Carlo Pisacane - su tutto emerge la parte superiore di una palazzina di Paolo Portoghesi. È una di quelle palazzine a pianta centrale con un tetto - più o meno - a padiglione e con un'altana molto trasparente, fatta con dei pilastri e un altro piccolo tetto - più che un'altana è una lanterna tratta quasi per gioco da una cupola minore di Roma e poi tesa, quadrata per ragioni di tipologia. Ecco questa palazzina, che a molti dei miei coetanei, amici, allievi sembra una cosa di assoluto poco conto o addirittura un esempio di ciò che non bisogna fare, in sé ha una serie di elementi estremamente positivi. Emana attorno a sé il senso dell'abitare, che è il senso di vivere in un mondo migliore di quello che c'è attorno. E non c'è bisogno di essere dei raffinati intenditori di architettura: io credo che una persona qualsiasi di Sapri vedendo quella palazzina e vedendo il resto vorrebbe andare ad abitarci. Di che parla quella palazzina? Essa parla prima di tutto dell'architettura come decoro della vita, non soltanto quindi come ricetto - come luogo che ci protegge dalle intemperie, che ci permette di sopravvivere - ma come rappresentazione dell'utente: chi vi abita vuole che il suo autoritratto sia la casa stessa, che questa assorba la sua identità e la restituisca a un livello superiore. C'è civiltà, c'è garbo, c'è decoro, c'è un rapporto sereno con la storia - sebbene non definita: il Barocco, il Settecento, l'Ottocento, il Novecento. È, se vogliamo, un'architettura cantabile, cioè comprensibile, che si memorizza e nella quale ci si identifica con grande facilità. Non pone problemi di comprensione di un contrappunto troppo complesso, ma in sé ha tutti gli elementi - non ne manca uno - ha tutte le note che servono per fare di quell'architettura una grande architettura residenziale. E a considerare questo, mi sembra chiaro che durante il periodo che passa col nome di postmoderno, specialmente all'inizio di questo tempo di dissenso - è finito il proibizionismo - in realtà Paolo Portoghesi non intendesse riferirsi al proibizionismo di adoperare un arco o una serliana o altro, piuttosto a questa forma di autocensura o, meglio, di presunzione che l'architettura per essere tale dovesse essere concepita per i cortigiani di un principe virtuale, raffinatissimi, che sapessero cogliere sottigliezze anche dove non ce n'erano o dove erano così tenui o così forzate da riuscire incomprensibili alla massa delle persone.


Leggendo e rileggendo queste parole, mi rendo conto di quanto tutto per me torni e al contempo strida con le immagini, sempre da me scattate. Ciò che avrebbe dovuto essere leggibile e comprensibile, pur nella sua originalità, temo appaia oggi, ai più, (complici l’incuria, il decoro perduto e il degrado urbano) come uno ‘sforzo artistico’ superfluo, un vezzo apparente che cela, in realtà, la mano di un grande architetto e il suo progetto per un abitare migliore.
Desidero che ciò che scrivo segni l'inizio di un dialogo, piuttosto che essere un semplice soliloquio. Se hai voglia di lasciare un commento qui sotto o di inviarmi un messaggio, sentiti liberǝ di farlo. Sarò felice di leggerti (e risponderti).
Sicuramente un edificio dal disegno dignitoso